Picerno 1799, Leonessa della Lucania

Picerno 1799, Leonessa della Lucania

La rivoluzione repubblicana del 1799 è stato un importante momento storico per la Basilicata, perché per la prima volta il credo diventa protagonista della scena. L’insurrezione costò la vita a 70 persone, tra cui 19 donne.

Basilicata del settecento Breve riepilogo degli eventi di fine ‘700

Dopo la caduta della monarchia francese (1789) la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV comincia ad avere un chiaro carattere anti-francese e anti-giacobino.

Il regno di Napoli aderisce alla prima coalizione anti-francese e cominciano nel mentre le prime repressioni sul fronte interno contro i filo giacobini.

Nel 1796 le truppe francesi, guidate da Napoleone Bonaparte, cominciano a riportare significati successi in Italia; le armate napoletane il 5 giugno sono costrette all’armistizio di Brescia.

Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare e in Italia vengono proclamate delle repubbliche “sorelle”, filo francesi e giacobine. Il 23 ottobre 1798, nonostante l’armistizio, il regno di Napoli entrava nuovamente in guerra con i francesi, con l’appoggio della flotta inglese, comandata dall’ammiraglio Horatio Nelson.

All’esercito napoletano si contrappose un’immediata controffensiva dell’armata francese del generale Championnet, che costrinse i borbonici alla ritirata. Il 21 dicembre il re si imbarcò di nascosto sulla nave dell’ammiraglio Nelson: venne affidato al conte Francesco Pignatelli l’incarico di vicario generale e da questi fu dato ordine di distruggere la flotta, che venne incendiata. Seguirono alcuni giorni di confusione e anarchia.

Mentre gli eletti del popolo rivendicavano il diritto di rappresentare il Re, 1111 gennaio 1799 il conte Pignatelli concluse, a Sparanise, un armistizio con il generale Championnet. Alla notizia della capitolazione il popolo di Napoli e di parte delle province insorse violentemente in funzione anti francese: è la rivolta dei così detti lazzari, che oppose una forte resistenza all’avanzata francese.

Nel frattempo, però, nelle città scesero in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filo-francesi e si giunse alla guerra civile, con conseguente vittoria di questi ultimi. Il 23 gennaio viene proclamata la Repubblica Napoletana. Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque, tra cui Carlo Lauberg, Ignazio Ciaia, il giurista lucano Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo, Pasquale Baffi e Cesare Paribelli.

Contemporaneamente, nel resto delle province la situazione comincia a precipitare. Il cardinale Fabrizio Ruffo è sbarcato in Calabria. Egli, con l’assenso regio e pochi compagni, riesce a costituire in poco tempo un’armata popolare (Esercito della Santa Fede) e ad impadronirsi rapidamente della Basilicata e delle Puglie. Nell’esercito di Ruffo, militarono anche diversi briganti come Fra’ Diavolo, Panedigrano, Mammone e Siarpa (Gerardo Curcio), che si distinsero con metodi feroci e sanguinari.

È qui che Picerno entra nella storia dell’Italia meridionale, soltanto alla fine del XVIII secolo, quando in essa si raccolsero i repubblicani del dipartimento di Avigliano per organizzarvi, al comando dei fratelli Vaccaro, la resistenza contro le forze Sanfediste che avanzavano verso Potenza, guidati da Sciarpa e da William Harley, un ufficiale inglese sbarcato in Italia meridionale per organizzare e dirigere l’offensiva filo-borbonica contro i francesi.

L’avanzata dell’Esercito della Santa Fede si conclude il 10 maggio 1799 con la presa ed il sacco di Picerno, cui segui la resa di Muro Lucano, poi quella di Avigliano e infine la conquista di Potenza. Tra le città del dipartimento di Avigliano Picerno fu il centro di raccolta dei repubblicani della Basilicata occidentale e, per l’eroismo mostrato, nel maggio 1799 meritò l’appellativo di LEONESSA DELLA LUCANIA.

In Picerno – scrive Vincenzo Cuoco – appena il popolo intese l’arrivo dei francesi, corse alla Chiesa a rendere grazie al dio a Israele […] Non tumulti – tiene a far presente i Cuoco – non massacri, non violenza accompagnarono la revindica de’ suoi diritti […]. Non conviene a noi, che ci lagnamo dell’ingiustizia degli altri, di darne l’esempio. Il secondo uso della liberta, fu di rivendicare le usurpazioni del feudatario.

E quale il terzo? Quello di far prodigi per la libertà istessa, quello di battersi fino a che ebbero munizioni, e quando non ebbero più munizioni, per avere del piombo, risolvettero in parlamento di fondersi tutti gli organi delle chiese. I nostri santi, si disse, non ne hanno bisogno. Si liquefecero tutti gli utensili domestici finanche l’istrumenti più necessari della medicina; le femmine travestite da uomini, si battettero in modo da ingannare il nemico più col loro valore, che colle loro vesti.

Presidente della Municipalità Repubblicana di Picerno fu Saverio Carelli e poi l’arciprete Giulio Salvia. Costoro, con la partecipazione di Domenico Calenda, maggiore della Guardia Civica, organizzarono le forze repubblicane del loro paese e parteciparono attivamente ai fatti d’arme.

Quando le forze sanfedista, dopo il sacco di Pietraſesa e di Tito, si diressero verso Bella, dove contavano sull’appoggio delle forze organizzate dal vescovo di muro Lucano, per potersi spingere verso la valle dell’Ofanto, per congiungersi con l’armata del cardinale Ruffo, Picerno divenne leggendaria roccaforte delle ultime forze repubblicane della Basilicata.

Domenico Calenda aveva il comando militare delle forze repubblicane raccolte a Picerno, mentre il comando politico della Piazza era affidato ai fratelli Vaccaro, inviati a Picerno con compito ed il grado di Commissari Repubblicani.

La popolazione partecipò in massa per la propria dire compiendo numerosi, isolati, atti di eroismo. Tra i più significativi si riportano quelli rimasti particolarmente vivi nella memoria del picernesi: gli assalitori che, provenienti dalla contrada Assunta, si affrettavano a risalire la china e raggiungere la zona del centro abitato, denominata oggi via X Maggio, erano in vista, quando il rapido gesto di una giovane popolana nei pressi di Toppo san Leonardo ne scompigliò le forze.

Ella, imbracciato il fucile, si portò sul tetto della propria abitazione e al riparo del comignolo fece partire un colpo, freddando un caporeparto nemico.

Sergio De Pilato, dopo la descrizione della “vaga Picerno”, ferma l’attenzione del lettore a considerare l’eroicità di questa gente. Picerno fu teatro, – dice l’autore – di uno dei più eroici episodi della breve storia della Repubblica Partenopea: la bella e mobile resistenza delle orde del cardinale Ruffo le quali nel 1799 assediarono il paese per varie settimane. E quando gli abitanti che avevano esaurita ogni munizione, privi ormai d’ogni altra risorsa, dopo aver respinto ben sei assalti degli assedianti muniti di cannoni, s’erano rifugiati nella chiesa, benché il sacerdote vestito dei sacri paramenti fosse comparso sulla porta elevando l’ostensorio, gli invasori s’abbandonarono alla più crudele opera di strage, di saccheggio e di sacrilegio.

E sul sagrato di questa chiesa Madre che si compie infine, l’ultimo tragico e sconcertante sacrilegio, episodio connesso alla difesa di Picerno.

Don Nicola Caivano, senza alcun timore, affronta gli assalitori che vuole indurre a retrocedere. Ma l’autorità morale della chiesa, da lui impersonata, non la presa sugli animi assetati di sangue: la presenza del sacerdote costituisce piuttosto incentivo a perseverarvi. Le bande armate di Sciarpa, infatti, moltiplicano i loro sforzi, calpestano i corpi esanimi dei fratelli Vaccaro, raggiungono il sacerdote e contro di lui sfogano la loro ira, trucidandolo. Ma a nulla valsero tali ed altre gesta dei picernesi.

Il maggior numero degli assalitori, la loro ferocia e l’inganno permisero loro di aver ragione nella loro resistenza. Era il 10 Maggio 1799.

Dopo aver occupato e saccheggiato il paese, lo Sciarpa nominò sindaco un prete paralitico che bisognò portare in sedia nel mezzo della piazza e da lui volle il giuramento sul Vangelo di fedeltà al Governo Borbonico. Il giuramento del nuovo sindaco, però, non legò la parte più responsabile e viva della popolazione: molti Picernesi, infatti, anche di notevole fama, sacerdoti compresi, continuarono in seguito ad impegnarsi nella piantagione dell’Albero della Libertà, giurando fedeltà alla Repubblica. Essi, contrari a quel governo, vennero giudicati e condannati in base ai loro crimini.

È questa la storia del nostro paese, un insieme di tradizioni e valori, trasmessi ancora oggi ai discendenti di quei coraggiosi eroi che si batterono per la libertà.

Estratto: Guida ai luoghi di Picerno SCN

Video: https://www.youtube.com/watch?v=y5ToAlo63iQ